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Perplessità nel vedere, sui marciapiedi di Roma, tanti cartelloni pubblicitari dedicati all’ennesima serie prossimamente fruibile online. Questa volta la serie è un prodotto Disney (il celeberrimo logo appare in grande nella parte bassa della pubblicità). Narra la realizzazione e la divulgazione di un filmato hard! Una storia autentica, cioè immagini hard che girano per davvero online!! Ma questo non è esplicito, cioè non lo si capisce direttamente guardando quella pubblicità!!! In un angolo superiore dei cartelloni spicca comunque, piccolino-piccolino, l’avvertimento rosso “18”!!!! Così si mischia un marchio tradizionalmente e fortemente collegato con l’intrattenimento dell’infanzia alla divulgazione (e indiretta promozione) di un (autentico) filmato hard. Il tutto con nonchalance, en passant direbbero gli scacchisti. Forse era meglio non parlarne. Fare come se nulla fosse pur di evitare un benché minimo “effetto Streisand”. Difatti non pare che si stia sollevando chissà quale polverone per questa faccenda dei manifesti Disney-hard. Cionondimeno, nel piccolo di questo blog, si è scelto di dedicarci le poche righe soprastanti raccogliendo un’ammonizione di Paolo VI: «se abbiamo senso di dignità personale e di rispetto verso gli altri, verso la società», bisogna «metterci in uno stato di difesa, di ripudio» dinnanzi alle «esibizioni e manifestazioni del malcostume moderno; e non cedere per acquiescenza o per rispetto umano all’inquinamento dell’immoralità ambientale» (un’udienza del settembre 1972).

Passiamo, ora, ad un argomento più costruttivo. In questo primo post nel blog dell’anno 2022 – finalmente! – si accoglie una riflessione di don Nicola Giacopini che ha accettato di rispondere alle domande di PURIdiCUORE. Dal 2019 è Direttore dell’Istituto Universitario Salesiano di Venezia (IUSVE) che, nella sua offerta formativa, vanta più lauree di psicologia e un master di sessuologia. Don Nicola è stato ordinato sacerdote nel 2005, si è laureato in psicologia nel 1996, ed è psicoterapeuta dal 2007.

Tebaldo Vinciguerra (TV): Da quando lavora a contatto con i giovani?

Don Nicola Giacopini (NG): Svolgo servizio di pastorale giovanile dal 1996, cioè da quando sono salesiano, subito dopo essermi laureato in Psicologia ed essere cresciuto nell’animazione sia a livello parrocchiale che nella pastorale diocesana di Trento.

TV: All’epoca molti giovani e adolescenti ancora non avevano il telefonino, e lo smartphone si diffonderà circa 10 anni dopo! Il consumo di pornografia era un argomento che emergeva ogni tanto, alla fine degli anni 1990, nei primi anni 2000, nell’ambito del contatto con i giovani?

NG: Fino almeno alla fine anni 90 il tema della pornografia con i ragazzi e con i giovani rimaneva piuttosto in secondo piano, rispetto a quello sempre classico dei rapporti prematrimoniali o della masturbazione. Era un mondo diviso in due: da un lato la maggioranza dei ragazzi e giovani “confinati” ai filmetti erotici cult degli anni 80-90; dall’altra i giovani adulti e gli adulti che frequentavano i cinema porno in ambienti cittadini dotati di parcheggi ed entrate riservate.

In modo anche un po’ ironico si potrebbe dire che quando eravamo adolescenti noi, la visione di materiali pornografici bisognava “conquistarsela” in modo trasgressivo e coraggioso, e per fortuna non era così facile!. O si compravano i così chiamati “giornaletti sporchi” (ma dove li potevamo prendere?), oppure si dovevano attendere le ore notturne e pian piano sgattaiolare alla TV di casa alla ricerca di Reti Tv locali. In ogni modo non erano certo immagini scabrose e forti come quelle che troviamo oggi su Internet e in ogni smartphone. Quando in qualche incontro di educazione all’affettività racconto come avvenivano queste dinamiche, sociologicamente solo qualche decennio fa, i ragazzi mi guardano con occhi sgranati…«ma in che mondo vivevate?»

TV: Il tema, da allora, si presenta dunque diversamente. È sicuramente diminuita quella consapevolezza di trasgressione. Andiamo avanti… dopotutto lei non solo è a contatto con i giovani ma confessa da più di 15 anni: allora, è cambiato qualcosa?

NG: Il tema della dipendenza da pornografia – o in ogni caso esperienze di visione abitudinaria – da allora ad oggi, più che altro e purtroppo si è diffuso ed è scoppiato nel silenzio quasi globale! Dovrei inoltre specificare: se un ragazzo parla e utilizza oggi il termine “dipendenza da pornografia”, il termine dipendenza già sottolinea come in un certo senso si rende conto che è un’esperienza degenerativa, una “libertà prigioniera” come direbbe Ricouer, che fa male, che chiude e rende “sterili” nella capacità di amare.

TV: Una consapevolezza diffusa?

NG: Purtroppo mi sembra di cogliere che questa consapevolezza emerge, almeno esplicitamente, in pochi ragazzi e ragazze. Essenzialmente quelli che frequentano percorsi educativi, in particolare spirituali e cristiani, ed in particolari i percorsi di poche parrocchie, di pochi movimenti. Come disse San Francesco di Sales: solo alla luce vediamo bene le nostre imperfezioni. Se stiamo lontani dalla luce, le nostre imperfezioni rimangono lo stesso, ma agiscono indisturbate.

Per questo sono preoccupato: la stragrande maggioranza dei ragazzi e dei giovani – ma anche di adulti e anziani – vive nella falsa convinzione che la pornografia, e tutte le esperienze che ruotano attorno ad essa (immagini, ambienti, oggetti, perversioni) siano esperienze naturali, positive per loro natura o al massimo variazioni particolari sul tema ma nulla più, neutre nel loro impatto sul corpo, sulla mente, sull’anima, sulle relazioni interpersonali di rispetto ed amore.

TV: Vogliamo soffermarci sul tema delle “ricadute”? Quel «mi ero promesso di non farlo più e invece ancora una volta…».

NG: Rispondo in base al confronto come sacerdote e come terapeuta con tanti ragazzi e ragazze, in particolare delle scuole superiori ed universitari. Quando siamo aiutati ed accompagnati nel prendere consapevolezza, nell’analizzare con la mente, nel confrontarci educativamente, nello scaldarci al fuoco di Dio, sulla pornografia e le sue ricadute, allora è possibile riconoscere che influenza se non causa direttamente: 1) I nostri stati d’animo di tristezza, di accidia, di noia. 2) Il nostro ritmo sonno-veglia (visto che spesso vengono frequentati siti pornografici in orari tardo serali e notturni)  che ha grandi effetti sull’attenzione e sulla prestazione scolastica, così come sull’ansia ed episodi di panico. 3) Il nostro tendere a vedere le persone che ci stanno accanto in modo captativo, cioè renderle prigioniere del nostro bisogno, della nostra passione. La pornografia blocca l’amore e lo tiene esclusivamente a livello di Eros, prigioniero della povertà e del bisogno – penso a Platone – e non lo fa trasformare in Agape, cioè in amore che fa dono di se stesso. 4) La nostra profondità spirituale, nel senso che i puri di cuore vedranno Dio. Certo, quelli che cercano di essere puri di cuore, perché tutti noi siamo peccatori. San Francesco di sales ci ricorda che il desiderio di amare è già amore: ecco, la pornografia abbatte anche il desiderio di amare.

TV: Le risulta che il settore scientifico corrobori queste preoccupazioni?

NG: In campo scientifico le ricerche, in particolare quella italiana svolta ogni anno dai pediatri, sottolinea come l’esposizione precoce ad immagini e ancor più ad eventuali esperienze erotiche, porta oltre a conseguenze di traumi psicologici, ad un calo forte del desiderio sessuale stesso. Già intorno ai vent’anni si assiste infatti ad un calo del desiderio erotico… Proprio negli anni in cui dovremmo esplodere nel nostro desiderio anche corporeo. Avviene proprio una anestetizzazione, dopo purtroppo però una crescita nella ricerca di stimoli erotici sempre maggiori. Davvero il classico dinamismo proprio di tutte le dipendenze.

TV: Varrà anche per le ragazze…

NG: Un aspetto che noto emergere in colloqui – in particolare in questi ultimi 4-5 anni – è l’aumento consistente anche di ragazze che esprimono problematiche legate alla dipendenza da pornografia. In loro noto che la dipendenza viene vissuta come “sentirsi sporche”, “avere grande vergogna” “avere paura che sarà sempre così”. Nei maschi questa percezione, seppur presente, emerge in modo meno marcato: penso anche per la struttura stessa della sessualità maschile che è intrusiva e di breve durata mentre quella femminile è ricettiva e distesa nel tempo, e dicendo questo penso ai lavori di Erik Erikson.

TV: Nell’ambito del nostro blog, abbiamo più volte affrontato la questione della pornografia abbinandola alla pandemia tuttora in corso. Quale è la sua visione, la sua percezione, dopo due anni di pandemia che hanno accelerato la digitalizzazione, aumentato il numero di ore online, e abbassato l’età dei fruitori di Internet?

NG: Un aspetto che ho notato in modo molto forte è l’aumento in questi due anni di pandemia della consapevolezza di avere qualche problematica relativa alla dipendenza da pornografia, strettamente connessa alla masturbazione quasi giornaliera. È uscita qualche mese fa una pubblicazione della Pontificia Accademia della vita che riporta una raccolta di ricerche di questi ultimi due anni rispetto gli impatti della pandemia sui bambini, sui ragazzi e sui giovani e uno degli aspetti è stato proprio quello dell’aumento della dipendenza da Internet, del ritiro sociale e anche della dipendenza da immagini pornografiche.

TV: Ovviamente non stiamo parlando di difficoltà che concernono unicamente i giovani…

NG: Certamente la dipendenza da pornografia non riguarda solo ragazzi e giovani ma anche adulti, anziani, mariti e mogli, religiosi e sacerdoti. Siamo tutti immersi e sovraesposti. Tra l’altro ci sono generazioni che, quando erano giovani, erano molto controllate e vivevano una morale estrinseca, che da adulti e anziani “recuperano” e abbondantemente. Basta vedere i dati sulle tipologie di persone che compiono reati in ambito sessuale o che entrano nelle reti pedopornografiche, anche se chiaramente sono temi distinti da quello della dipendenza da pornografia.

TV: Non posso esimermi dal chiederle come reagisce lo psicoterapeuta che – suppongo che ogni tanto accadrà – riceve in confessione ripetutamente la medesima persona che soffre a causa del proprio consumo di pornografia. Ci sono compartimenti o momenti separati? Cioè, lei riesce a fare “solo” il sacerdote per chi vuole incontrare il sacerdote, e in altri momenti riesce a fare “solo” lo psicoterapeuta, magari per chi viene a parlarle fuori dal confessionale?

NG: Come terapeuta attualmente non esercito molto, visto il mio ruolo di Direttore dell’università e di docente: penso però che, proprio perché una persona è integrale e integrata, non ci siano controindicazioni sul fatto di continuare ad essere prete anche quando sono terapeuta e continuare ad essere terapeuta anche quando sono prete. Chiaramente, ci sono obiettivi e modalità di movimento professionali specifici ma sono più i vantaggi che gli svantaggi. Sia il prete che il terapeuta rischiano spesso  infatti di pensare di essere gli unici depositari del sapere o in ogni caso di avere una posizione preminente… invece è utile e prezioso avere due sguardi connessi, perché si vede meglio.

Sa, una giusta critica della teologia alla psicologia è che non riesce a vedere alcuni stati d’animo – o dell’anima – come l’accidia (che non è la pigrizia) e così la psicologia critica una certa teologia spirituale che non coglie appieno dinamiche quali “la coazione a ripetere” che non è semplicemente un’infermità del volere o il frutto del continuo peccare in ambito spirituale ma ha aspetti anche neuro-psicologici distinti dal volere e dall’anima.

TV: Simone Pacot, nel suo lavoro sulla guarigione e l’evangelizzazione nel profondo del cuore, scrive che il compito dell’accompagnatore spirituale è più ampio rispetto a quello del terapeuta, ma al contempo non può negligere alcuni meccanismi psichici o fisiologici (traumatismi, dipendenze,…). Cosa ne pensa?

NG: Certamente la dipendenza da pornografia o in ogni caso sessuale è un appello alla ripresa di una vita spirituale piena. Le esperienze spirituali forti accompagnano e guidano il cammino; sono necessarie perché al male profondo si risponde con il bene profondo: rotta però potremmo dire la scorza, c’è bisogno di un accompagnamento delicato, continuo, aiutando a conoscersi in profondità, a cogliere le dinamiche intrapsichiche, relazionali e familiari, così come a dare ordine alla giornata, a cibarsi di esperienze positive e in questo l’accompagnamento terapeutico è in sinergia.

È quindi necessario sia l’accompagnamento spirituale che quello terapeutico (in casi di dipendenza chiaramente), altrimenti si rischia di spiritualizzare l’esperienza. È proprio vero che la preghiera è centrale, ma le dinamiche psicologiche, in particolare se “incistate” da tempo, non fanno salti e non si risolvono magicamente tramite la preghiera.

Penso, inoltre, che oltre all’accompagnamento spirituale e quello psicologico, sia decisiva l’educazione affettiva in ambito familiare e anche in ambito scolastico ed ecclesiale: è li dove si aiutano i ragazzi a crescere nell’amore come dono, certamente come esperienza nel quale il piacere è importante, ma come risultato, come frutto dell’amore, non come criterio a sé stante da ricercare. Allora i ragazzi e le ragazze stesse si sentono accompagnati.

Dunque non sovrastimano il tema, cioè non pensiamo che tutta la vita e tutto il Vangelo ruotino attorno al sesto comandamento, ci mancherebbe! Allo stesso tempo, però, non lo sottostimano: cioè che non c’è amore se non vissuto corporalmente, e non c’è atto corporeo che non abbia una valenza spirituale. Possiamo e dobbiamo quindi dire: “Noi non abbiamo un corpo, ma siamo anche corpo.”

TV: La confessione da parte di uno sconosciuto potrebbe essere un veloce e forse irripetibile spiraglio di apertura, di intimità. Ha senso vedere la confessione di chi soffre di consumo di pornografia anche come un’opportunità per riorientare, suggerire un accompagnamento, oppure sarebbe una cosa troppo invasiva e dunque indelicata?

NG: Non penso sia né invasivo né indelicato, e provo a spiegare perché. La confessione è un sacramento speciale: allo stesso tempo il più umano è il più divino. È certamente un’occasione preziosa perché non ci teniamo le nostre maschere, perché ci sentiamo liberi di lasciarci riconciliare da Dio, di lasciarci guardare con occhi di amore da parte di Gesù e quindi è proprio da quel «fissatolo, lo amò» che si può ripartire. È un’occasione per sottolineare come il peccato che sia portato in ambito di dipendenza sessuale è delicato, profondo proprio perché è espressione di tutta una vita, è collegato a stati d’animo a meccanismi psicologici ad esperienze con gli altri e quindi invitare liberamente a riprendere il tema in altro contesto, suggerendo di parlarne ad un adulto saggio, è importante. Non si tratta di fare domande di specificazione rispetto al peccato, si tratta di aiutare a capire che la Chiesa è una comunità di persone che aiutano a crescere e che abbiamo la possibilità di farci aiutare perché nessuno si arrangia da solo ed è una ricchezza poter camminare insieme, con persone che sono preparate e che mantengono la riservatezza. Questo è liberante.

In tanti anni di confessione non ho mai trovato una persona che abbia sgradito una possibilità libera di essere aiutato. Ho trovato interessante inoltre che, nei vostri consigli presenti sul sito, abbiate specificato di non affrontare il tema “solo” in confessione: questo è certamente importante perché se lo si affronta solo in confessione, i sacerdoti non possono in alcun modo riprenderlo fuori da questo contesto, e quindi da un certo punto di vista tutto si blocca nello spazio di pochi minuti.

TV: Lei è stato formato negli anni 1990 e primi anni 2000, in poche parole i suoi formatori non avevano avuto a che fare con l’era social. Con l’esperienza accumulata da allora, conscio del contributo delle varie discipline confluite nello IUSVE, ritiene che si possa migliorare la formazione dei sacerdoti, o comunque dei cappellani e accompagnatori spirituali, per fronteggiare la pornografia e i suoi danni?

NG: Penso sia assolutamente necessario, e in questo anche il vostro prezioso contributo è decisivo. È un tema che è stato preso a carico in modo particolare in questi ultimi periodi anche dalla nostra Università Pontificia Salesiana, di cui siamo aggregati, e la pastorale giovanile mondiale dei salesiani. C’è bisogno di maggiore conoscenza sui meccanismi e le dinamiche psicologiche tipiche dell’ambito sessuale, delle ripercussioni neurofisiologiche, nonché degli ambiti sociali, comunicativi e pedagogici. Tutto questo è in stretta connessione transdisciplinare con la teologia, sia morale che spirituale e pastorale. Penso che sia l’ambito oggi più importante. La veritatis gaudium ci invita proprio alla comunione dei saperi. In questo mi permetto forse di dire che la teologia è chiamata a sempre più essere consapevole della rilevanza delle scienze umane.

Certo, ci sono modelli della psicologia o di filosofia che non sono conciliabili con l’antropologia cristiana, però allo stesso tempo non si può neanche pensare che la teologia spirituale, che non è nata per risolvere i problemi psicologici, sia adeguata e sufficiente. Difatti, molte guide spirituali ad un certo punto, quasi rassegnate, mandano le persone dagli psicologi o psichiatri. Perché invece non agiamo tutti insieme?

TV: Lo IUSVE lavora sulla psicologia e la sessuologia. Rovistando nel vostro sito Internet ci vuol poco a capire che vi interessate anche alle comunicazioni e alle nuove tecnologie. Sembra un cocktail interessante per affrontare la pornografia, che ne pensa?

NG: Lo IUSVE  ha corsi di laurea in psicologia e un master in sessuologia, così come il Dipartimento di pedagogia ha elaborato un corso di educazione all’affettività e alla sessualità. In questi corsi sono presenti anche contributi delle discipline della comunicazione, sia digitale che tecnologica. Certamente una tale abbinata è decisiva! Anche perché è il modo con cui si mostra la dipendenza da pornografia nell’attuale contesto. È importante, poi, anche rendersi conto di come agisce la comunicazione sia via social, che in Internet e nei media: questo per far crescere percorsi di media education, portati tra l’altro in ambito italiano dal nostro compianto prof. don Giannatelli, dell’UPS. Tra l’altro, ormai, i filosofi e pedagogisti più consapevoli non mettono in dubbio che quella digitale è proprio una relazione. E che il virtuale è reale: non fosse altro per il fatto che le conseguenze sono molto reali. Si parla infatti ormai di “ambiente digitale” e, per questo, i contributi in ambito comunicativo, digitale e tecnologico sono importanti. Tra l’altro, nella cura delle dipendenze sessuali, vengono utilizzati anche visori di realtà aumentata, proprio per la loro capacità immersivo-terapeutica, così come è stata immersivo-dipendente quella vissuta dai pazienti.

TV: Le sembrano possibili collaborazioni e sinergie con il mondo non-cattolico su questo tema? Per esempio le amministrazioni oppure i terapeuti?

NG: Domanda interessante! Certamente per quanto riguarda le dipendenze da pornografia, il dialogo è attualmente aperto anche perché – sotto gli occhi di tutti – ci sono problematiche. Il limite la complessità arriva nel momento in cui, e questo è necessario in chiave preventiva, si è chiamati a identificare, confrontarci su quelle che sono le dinamiche, le cause la qualità dei vissuti, che cosa vuol dire amore. Viviamo infatti in una cultura dove fondamentalmente si dice che “amore è quello che uno pensa che amore sia”, basta che il partner o i partner siano d’accordo. Così come per Don Bosco “in ogni giovane c’è un punto accessibile al bene”, noi salesiani pensiamo che anche in ogni società ci sono istituzioni e persone “accessibili al bene”, che è l’educazione dei ragazzi.

TV: Grazie infinite.

16 marzo 2022